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Silvana Maroni - Napoli

     Mi presento: mi chiamo Emanuele e ho trentadue anni, una laurea in ingegneria aerospaziale e vari master, tutti conseguiti in ambito astronautico. Non intendo vantarmi per i titoli accademici, ottenuti grazie ad uno studio caparbio, faticoso, spesso a dispetto del sonno e della vita di relazione. Ma i sogni sono sogni e se ci credi veramente fai di tutto per arrivare fino in fondo. Io devo ancora fare tanto, perché i sogni, man mano che vai avanti diventano sempre più grandiosi.

 Ho sempre puntato molto in alto, fino alle stelle ed oltre. Ci arriverò.

    La colpa di tutto questo è sicuramente di mia nonna. Senza di lei ora sarei un medio borghese con una professione normale, ritmi di vita ossessivi tra lavoro, famiglia, weekend divisi tra mare e montagna, a seconda delle stagioni. Sarei stressato e infelice, un po' come tutti. Avrei una bella auto potente e mediamente inquinante, giocherei a tennis con gli amici, andrei al ristorante la domenica, poi cercherei un rifugio in campagna per disintossicarmi dalla vita, come il mio papà.

E invece no, la mia vita mi piace!

Cosa c'entra la nonna, direte?

É lei la colpevole della mia felicità. Responsabile forse? No, proprio colpevole, perché è riuscita a far scattare certe molle in me, da bambino, che erano proprie quelle giuste, tutte a discapito della “normalità”.

Gli altri mi guardavano tutti con un certo sospetto:

   “Non gioca, non ama i videogiochi come i suoi coetanei, è un po' asociale, peccato! Un così bel ragazzo!”

   “Con quegli occhioni blu potrebbe conquistare tutte le ragazze più belle! “

   “Perché non vai a ballare il sabato sera? Sai quante ne trovi!”

   La mia nonna paterna era piuttosto strana, insomma, neanche lei era troppo normale: un po' asociale, non faceva tante cerimonie al punto da sembrare scorbutica e parlava poco se non con me, e poi scriveva, leggeva, fantasticava, guardava le stelle.

Tutti correvano qua e là e mi invogliavano a fare mille attività: scuola, nuoto, lingue straniere, pianoforte, canoa. Lei no, lei era calma, mi invitava a riflettere, a pensare, a leggere libri, cosa ormai fuori moda, e mi raccontava tante meravigliose storie.

    Sin da quando ero piccolissimo la sera mi portava fuori, anche col freddo, magari tutto imbacuccato, e mi faceva stendere su un prato di fianco a lei, a dispetto dell'artrite, o sulla sdraio con gli occhi in su, a guardare il cielo. Quante cose mi ha insegnato! Erano vere e proprie passeggiate tra le stelle, a conoscere il gigante Orione che si affannava a rincorrere le Pleiadi, con al seguito i  fedeli cani Sirio e Procione. Sembrava portasse l'Universo sulle spalle, sui famosi bastioni! E poi lungo la strada segnata dalla sua cintura raggiungevamo Aldebaran, l'occhio del Toro e oltre, verso le brillanti sorelle, nitide nel cielo invernale. Riuscivo quasi a sentirlo quel lontanissimo ”pigolìo di stelle”, e devo a lei anche la suggestione poetica.

   Nei mesi più freddi al centro della scena fra gli astri del Triangolo Invernale si stagliava l'arco inconfondibile della via Lattea col suo brulicare di stelle, simile ad un popolo di lucciole impazzite.

  Nel cielo estivo ho imparato a riconoscere Boote, il Bovaro, che tutte le notti tiene al guinzaglio i Cani da Caccia mentre tentano di mordere le zampe della vicina Orsa Maggiore, e prolungando la curva disegnata dalle stelle della coda dell'Orsa, a rintracciare con facilità la luminosa Arturo:”Il guardiano dell'Orsa”, la “Civetta” dei nativi americani.“

   Tutti i cani del cielo stellato li trovavo strani, io che ero cresciuto da sempre con un cane in casa, all'inizio stentavo ad immaginarli disegnati da punti luminosi, insieme a tanti altri personaggi, nella cupola notturna che sembrava sovrastare e dirigere le vicende umane.

Mera illusione: le stelle, qualsiasi cosa rappresentino, si disinteressano agli uomini, anche se gli uomini hanno avuto spesso bisogno delle stelle: per l'orientamento e per essere rassicurati sulle vicissitudini terrene.

    Ma non parlatemi di oroscopi però! In questo sono come mia nonna, uguale a lei: chi mi chiede “Di che segno sei?” o commenta: “Come si vede che sei un Leone!” per me è un cretino a prescindere dai suoi titoli accademici, proprio come per lei.

    Una sera facemmo un percorso speciale, con una “compilation” musicale esclusiva, a dir poco eterogenea, a tratti surreale: indossammo le cuffie per ascoltarla in una forma di raccoglimento quasi religioso. Alternava ”L' aria della Regina della notte ” da “Il flauto magico” di Mozart a “Johnny B. Goode ” di Chuck Berry, al “Primo movimento dal Concerto Brandeburghese numero 2 in Fa “ di Bach, passando attraverso la “Danza sacrificale” da “ La Sagra della primavera” di Stravinsky, per giungere al “ Canto notturno degli indiani Navajo”...e tanti altri pezzi che avevano in comune il solo fatto di essere tratti dalla traccia incisa sul famoso “Voyager Golden Record” inserito nelle due sonde spaziali del Programma Voyager e lanciato nello spazio nel 1977, quando lei era poco più di una bambina. Un'imperitura testimonianza della “grande bellezza”, nata per volontà degli abitanti di un pianeta chiamato Terra, terzo in ordine di distanza da una stellina gialla di quart'ordine alla periferia di una galassia qualsiasi. Un vero e proprio messaggio in bottiglia. Affascinante.

   Vari erano gli spettacoli messi in scena dalla volta celeste, diversi tra le notti notte tiepide e serene delle nostre belle estati del sud, e non meno affascinanti quelli delle notti invernali e autunnali, spesso umide e fredde. Ma nulla ci fermava, armati di binocolo prima, di telescopi sempre più potenti poi, era il nostro teatro, il nostro cinema, sempre seduti al posto d'onore. Potevano sembrare spettacoli  ripetitivi ma noi non ci stancavamo mai di osservare le stelle completare il solito, apparente girotondo intorno al polo celeste, vigilando accorte ma distanti sulle vicende umane. E poi, tra i tanti tracciati invisibili degli astri era bello individuare i pianeti: Giove accompagnato dagli astri medicei, Saturno con gli inconfondibili anelli, Marte, rubino del cielo e la luminosissima Venere capace di rischiarare le notti più buie.

    Continuerei all'infinito con i ricordi, ma non ho tanto tempo, domani è un grande giorno per me, parto per un viaggio unico e meraviglioso.

   Sapete, sono nato nell'anno della famosa pandemia, il 2020: mia nonna diceva che era stato l'anno più bello della sua vita proprio perché ero nato io! Ci ho sempre creduto. E adesso sono cresciuto in un mondo sempre più brutto con un'umanità sempre più divisa e cattiva: siamo nel 2052 e domani mi imbarco, con la speranza che quest'anno diventerà il più bello di tutti, e non solo per me ma per l'umanità intera!

    Dove vado? Signore e signori, vado su Marte, sarò uno dei primi uomini a mettere piede sul pianeta rosso. Sarà un altro grandissimo balzo per l'umanità, nonostante tutto!

Tutta colpa della nonna, lei me lo diceva sempre che sarei arrivato lontano!