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Marian Ciprian Zisu - Roma

Da un pianeta assai lontano

qualcuno osserva

come a compimento portiamo

le nostre vite incomprensibili.

 

Da quel pianeta che dorme dove annotta sempre,

quel lontano osservatore appunta curiosi ideogrammi

mentre noi, qui,

siamo da tempo morti.

 

Viviamo nel viaggio trasportati dai nastri cinematografici

a trecentomila chilometri al secondo

senza neanche il tempo di uno sguardo

dai tersi finestrini della luce.

 

Danziamo i nostri balli sfrenati,

libiamo alle morte eternità

agli occhi di quello sguardo curioso,

ma quaggiù tutto adesso tace.

 

In questo preistorico presente

noi siamo diventati

o siamo sempre stati

il sogno di un altro.

 

Siamo ombre che avanzano nell’orgiastica farandola umana

e allunghiamo le nostre fosche catene

fino alla bocca della grotta per rubare un po’ di verità

e ottenere in cambio solo morte.

 

Siamo già morti mentre festeggiamo compleanni,

o in attesa d’iniziare un lavoro migliore,

siamo già morti davanti all’altare o alla prima recita

della nostra figlia minore.

 

Siamo già morti quando da anziani negli occhi posiamo ancora specchiarci

intrecciandoci le mani e pensiamo alla morte

e temiamo la morte

mentre in lei è tutto avvenuto, in lei giacciamo sepolti nel futuro.

 

È lei che ci trattiene nei ricordi.

È lei l’ultimo dei nostri mondi.

E lei ci sta sognando.